Pubblichiamo il documento realizzato dal gruppo di lavoro "economia".
I. Da che cosa dipende l’attuale crisi economica?
1. Il denaro è una promessa di valore (ha quindi un valore potenziale, che diviene reale solo acquistando un bene), è inoltre anche una misura del valore (funzione numeraria), un mezzo di scambio ed una riserva del valore. L’attuale crisi globale – a differenza delle crisi periodiche che hanno sempre caratterizzato il capitalismo – nasce dal fatto che, negli anni Settanta, le banche ed altri istituti finanziari, a seguito delle riforme legislative tese alla liberalizzazione della finanza, hanno di fatto iniziato ad emettere moneta, semplicemente concedendo una grande quantità di prestiti quasi totalmente in leva, vale a dire quasi senza nessuna garanzia.
2. Il capitalismo industriale differisce dal capitalismo finanziario sostanzialmente per le modalità con le quali il capitale è accumulato. Il primo applica la formula tradizionale Denaro–Merce–Denaro: una data quantità di denaro è investita nella produzione di merci la cui vendita è tesa a ricavare una quantità di denaro superiore rispetto al capitale investito (la differenza è il profitto). Per contro il capitalismo finanziario è teso alla sola accumulazione di capitale: si cerca quindi di far fruttare il denaro con la sola rendita. Nel capitalismo finanziario non sono le banche a prestare il denaro ai clienti bensì, paradossalmente, sono i clienti a prestare denaro alle banche. Il credito non viene finanziato dai depositi: sono piuttosto i depositi ad aver origine nel credito. In conclusione, è quindi il credito a creare il denaro.
3. Secondo le teorie neo-liberiste, la libertà della circolazione dei capitali avrebbe dovuto assicurare un maggior benessere per tutti. In trent’anni è però avvenuto il contrario: il capitale dei ricchi ha continuato ad aumentare in misura esponenziale, mentre la diffusione del benessere si è ridotta in modo radicale. Si è prodotto un arricchimento in parte virtuale – ad opera delle bolle finanziarie –, ed in parte reale, proveniente dalle ricadute effettive di ricchezza che la finanza virtuale ha estratto dall’economia reale, sottraendo questa ricchezza alla classe media, con lo sfruttamento della natura e del lavoro e con la riduzione del Welfare. Mentre si diceva di voler evitare la svalutazione, essa veniva invece prodotta “al contrario”, riducendo la ricchezza della classe media.
4. Prima dell’euro, ogni singolo Stato dell’eurozona garantiva il valore della moneta, nell’esercizio della propria sovranità. Oggi, invece, manca una Banca centrale rappresentativa delle molteplici sovranità statuali. È quindi di prioritaria importanza che l’Unione Europea trovi strumenti adeguati per incentivare l’economia reale ed impedire che continuino a prodursi quei meccanismi finanziari che, negli ultimi mesi, hanno speculato al ribasso sull’economia di alcuni Paesi europei, come la Grecia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo ecc. Questo si potrebbe ottenere facilmente separando le banche destinate a finanziarie l’economia reale, che dovrebbero continuare ad essere garantite dagli Stati, dagli istituti finanziari, che potrebbero continuare a “giocare” con gl’investimenti, ma a proprio rischio e pericolo.
5. In una prospettiva politica, la globalizzazione ha comportato una riduzione del potere decisionale e della sovranità degli Stati. Questa riduzione ha favorito gli interessi del capitalismo finanziario e il peggioramento della condizione economica della classe media. La sovranità perduta dagli Stati viene però indebitamente occupata dalla finanza. Per poter controllare realmente l’economia del nostro continente, l’Unione europea si deve strutturare in senso federale, dotandosi dei necessari strumenti politici di progettazione, di controllo e di gestione. La Bce, in questo modo, potrebbe iniziare a difendere l’euro, come fanno tutte le banche dei paesi sovrani.
6. L’economia capitalista richiede a tutti di partecipare ad una società che impone di rinunciare a qualcosa per ottenere in cambio altri benefici in nome d’una sicurezza che oggi diventa sempre più incerta. È quindi necessario trovare un nuovo patto sociale fra le esigenze del capitale e quelle della classe media ed estendere questi meccanismi alla maggioranza della popolazione del pianeta. È questa esigenza, oggi, a differenza di quanto accadeva ancora fra il primo dopoguerra e gli anni
Settanta, a rendere particolarmente complessa la realizzazione di questo progetto, dal momento che una crescita economica estesa all’intero pianeta comporterebbe in breve tempo l’esaurimento delle risorse e produrrebbe effetti disastrosi per la vita stessa (aumento della temperatura, distruzione delle foreste ecc.).
7. Il potere finanziario è un organismo parassita dell’economia materiale perché non produce le risorse di cui pure si nutre, ma le trae da un organismo ospite, cioè il sistema-mondo, generalmente sotto forma d’interesse su debiti finanziari. L’altro grande parassita del sistema-mondo è la criminalità organizzata. Vi è un ponte naturale fra la grande finanza e la grande criminalità organizzata: il sistema bancario globale. Di fatto nessun traffico illecito potrebbe operare senza la connivenza del sistema bancario globale.
8. La teoria della decrescita, come l’insistenza sui beni comuni e l’economia della felicità, non comportano affatto un peggioramento, ma un miglioramento della qualità della vita. L’obiettivo che esse si prefiggono è una società nella quale vivere meglio lavorando (e consumando) meno, quindi riducendo le esigenze, ma anche gli sprechi. Per avviare un circolo virtuoso dell’economia occorre valutarla fondandosi su strumenti meno astratti del PIL, incentivando le produzioni non distruttive e rilanciando la distribuzione locale della produzione (riterritorializzando l’economia).
9. È auspicabile che l’indignazione generalizzata diffusa a livello globale si articoli in Italia in un nuovo progetto politico, ad opera di una classe dirigente – e non dominante – realmente rappresentativa delle esigenze della popolazione (e non di quelle della finanza).
10. È inoltre necessario liberare il Paese dai soffocanti interessi corporativi che dilagano ad ogni livello e in ogni settore. È molto difficile che le liberalizzazioni proposte dal Governo Monti siano sufficienti ad aumentare la produzione in assenza di una contestuale “deliberalizzazione”, vale a dire di una limitazione dei poteri della finanza internazionale. Tuttavia, per fare ciò è indispensabile una stretta cooperazione internazionale, perché nessuno Stato nazionale è oggi in grado di agire in tal senso in modo autonomo.
II. Dalla crisi economica alla crisi politica
1. In Italia, il recente episodio di sottrazione di milioni di euro dalle casse di un partito (la vecchia Margherita) ha fatto “scoprire” quello che già si sapeva: i partiti (a volte già scomparsi da anni), anche dopo il referendum che negava il loro finanziamento pubblico, hanno continuato a finanziarsi lautamente inventandosi dei “rimborsi elettorali” che nessuno controlla, se non essi stessi. I partiti che si finanziano con modalità così illegittime, anche se legalizzate da loro stessi, difficilmente potranno progettare un nuovo patto sociale, a meno di non ristrutturarsi totalmente: nei loro statuti, nel loro funzionamento economico e soprattutto rinnovando radicalmente la propria direzione. Non vediamo quindi come sia possibile chiedere cortesemente alla stessa classe dominante che ha massacrato il nostro Paese di farsi da parte: non lo farà mai, se non sarà costretta da un vasto movimento d’opinione. In effetti i partiti politici, come sono organizzati oggi, risentono ancora chiaramente di un’impostazione verticistica che, anche quando è messa in questione da quell’importante strumento di designazione democratica che sono le elezioni primarie, dipende da un’impostazione istituzionale che facilita il loro trasformarsi in strutture di potere stabili, che proprio per questo troppo spesso non riescono a cogliere in tempo i cambiamenti che si producono nelle concrete situazioni storico-sociali. I partiti dovrebbero invece essere i primi ad interpretarle nei propri programmi.
2. È urgente trovare una soluzione politica del problema posto dal predominio della finanza sulla politica e sull’economia. L’Unione europea si limita oggi ad una difesa di retroguardia del valore dell’euro, senza riuscire a darsi delle strutture di effettiva collaborazione politica, e questo nelle ultime settimane sta mettendo a rischio la sua stessa moneta (il caso della Grecia è esemplare).
3. L’Unione europea deve smettere di essere solo un luogo di regolazione dell’esistente. Solo cosí potrà diventare uno spazio nuovo in cui ciascun individuo, e non solo ciascuno Stato, potrà riacquisire un’appartenenza culturale, compatibile con la sua appartenenza geografica, ma aperta al
confronto con gli altri (immigrazione, diritti civili ecc.). Solo questo potrà dare al nostro continente un nuovo equilibrio socio-economico, culturale e politico.
4. Il potere è oggi gestito dovunque da una poliarchia, che ha tre piedi: la democrazia gestita dai partiti, il potere economico e finanziario e l’opinione pubblica.
5. La libertà politica, in termini generali, significa “diritto di essere partecipi del governo”. È proprio questa libertà di partecipazione che oggi viene di fatto negata dai partiti non solo ai cittadini, ma anche ai propri elettori.
6. Le grandi rivoluzioni democratiche del passato si sono sempre fondate non sui partiti, ma su delle libere assemblee, come le townships della rivoluzione americana. Queste strutture di partecipazione, che esprimevano da sé i propri delegati, i quali non potevano far altro che attenersi alle decisioni dei cittadini, sono state poi eliminate proprio dal controllo politico dei partiti.
7. In sostanza, da quanto detto sin qui, emerge che la globalizzazione potrebbe non ridursi al dominio (necessariamente non democratico) del mercato finanziario: al contrario potrebbe essere l’occasione per riutilizzare metodi – sovranazionali e federali – di gestione del potere che in passato hanno contribuito a determinare tutti i grandi rivolgimenti politici che hanno determinato la storia del mondo moderno.
8. I movimenti d’opinione strutturati in nuove aggregazioni politiche non partitiche aperte alla partecipazione dovrebbero seguire una logica del tutto diversa da quella verticistica. Solo questo consentirebbe a queste aggregazioni di divenire luoghi di confluenza anche di tutte quelle persone che solitamente non si sentono rappresentate dai partiti. Occorre creare un movimento politico costringendo i partiti a rinnovare totalmente le proprie strutture e le proprie gerarchie e diventando realmente – e non solo a parole – i rappresentanti presso gli Stati e le varie istituzioni politiche, sovranazionali o federali, degli interessi della popolazione che rappresentano. Ma si tratta soprattutto di stimolare la società nel suo insieme a prendere atto dell’importanza delle decisioni politiche i cui costi finiscono sempre per essere sostenuti dai singoli cittadini. L’organizzazione pratica di un movimento di questo genere non è difficile, anche grazie all’ampia diffusione degli strumenti informatici, come hanno dimostrato i recenti scontri nel continente africano. Più difficile è invece coagulare queste esigenze in una linea politica chiara, realizzabile e non contraddittoria.
III. Per una politica glocale.
1. Le tesi fin qui esposte riguardano con ogni evidenza una politica globale, che implica necessariamente dei livelli sovranazionali di articolazione e di decisione. Ciò nonostante anche i movimenti politici locali sono chiamati a fare la loro parte, dal momento che oggi i problemi del territorio sono sempre strettamente connessi a quelli globali. Non si può poi rovesciare la logica verticistica che determina da decenni la politica italiana se non operando alla base, a due livelli: A) nei partiti, per cercare di veicolare la loro trasformazione ed apertura; B) nell’opinione pubblica, facendo leva sulla società civile e soprattutto collaborando con le libere associazioni. Si tratta di due livelli distinti ma necessariamente correlati, dal momento che, in definitiva, è dalla società civile che i partiti traggono in ultima istanza la propria forza, in virtù del consenso della cittadinanza.
2. È urgente perciò operare “in rete”, non solo in senso informatico, ma soprattutto in senso sociale. Ciò consentirà ai gruppi locali d’interagire in modo integrato con iniziative parallele, sia a livello regionale che a livello nazionale, senza trascurare la dimensione europea, oggi di cruciale importanza anche nella determinazione delle iniziative politiche in apparenza più radicate nel territorio.
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