giovedì 26 agosto 2010

PD E CHIESA

Corrado Poli ci manda ("tra il serio e l'ironico") alcune stimolanti considerazioni che ci piace sottoporre all'attenzione di tutti.


Tra il Pd e la Chiesa cattolica italiana ci sono molte somiglianze. Tutte possono essere ricondotte all’opportunismo e alla difficoltà di uscirne. Come ci racconta Hirschnman in “Exit, Voice and Loyalty” (traducibile: Uscita, protesta e appartenenza) per reagire al decadimento di un’organizzazione ci sono due possibilità: abbandonarla (uscita) oppure protestare dall’interno per suscitare il recupero, cioè la cosiddetta critica costruttiva. L’opzione dell’uscita è subordinata alla disponibilità di un’alternativa. Se non c’è possibilità di uscita, o questa è improbabile, la minaccia diventa poco credibile. Sia nel caso del PD sia in quello della Chiesa cattolica italiana, ai più sembra che l’alternativa non ci sia. Inoltre, per una questione di “appartenenza”, non la si prende in considerazione o la si giudica una possibilità remota. Il risultato è che nessuno si spaventa per la minaccia di uscire dall’organizzazione. In fondo è la stessa situazione di una Borsa in caduta: i titoli che possiedi non rendono, ma se li vendi non si riesce a comprarne altri con un rendimento migliore. Il problema è che la protesta dall’interno diventa davvero efficace solo se la possibilità di abbandono dell’organizzazione è reale e non solo una ipotetica.
Leggendo i post dei militanti del PD – di tutte le correnti – mi rendo conto che prevalgono il dissenso e critiche pesantissime quanto disperate. Il disagio di farne parte porta addirittura molti di loro a proporre a leader del partito l’esponente di un altro partito che ha sfiduciato due volte il governo Prodi. I militanti del PD sono contrari a tutto quanto dice il Partito e suoi iscritti, ma rimangono nel partito protestando. L’opzione di andarsene non è presa in considerazione per due motivi: (a) non si sa dove andare (Di Pietro, Grillo, UdC, SeL, RC, Verdi, Fini, non sono viste come possibilità alternative); oppure (b) si è legati all’organizzazione da un senso di fedeltà irrazionale o opportunistica. Per esempio alcuni militanti del PD vorrebbero Vendola come leader, ma allora perché non votare il partito di cui Vendola fa parte! Se Vendola non è entrato nel PD, una ragione ci sarà. E se il Pd ha fatto la guerra a Vendola, tanto in linea con il suo pensiero non lo è. Non sarebbe più sano e onesto votare per il partito di Vendola oppure presentare un candidato che propone il programma del PD: già il programma che non c’è! C'è invece una mentalità da Touring Club: più siamo meglio è.
Con la Chiesa Cattolica in Italia succede la stessa cosa. Il Papa, capo autocratico assoluto, condanna l’omosessualità, il divorzio, la comunione ai divorziati, non permette il celibato dei preti, non consente gli anticoncezionali e i rapporti prematrimoniali, per non parlare dell’eutanasia, dell’aborto e mille altre cose tra cui i pari diritti delle donne nella Chiesa. Eppure vi sono gay che si dichiarano cattolici, divorziati che fanno la comunione e quanto ai rapporti prematrimoniali, gli interessati rispondono con una risata. I preti fanno figli, ma prima di essere cacciati dalla Chiesa rivendicano il loro diritto alla famiglia senza però mettere in discussione il modo in cui la Chiesa prende le decisioni. Soprattutto, senza ammettere che avevano fatto una scelta a cui vengono meno. E dichiarano di essere ancora Cattolici. Consoliamoci con il fatto che almeno, a differenza del PD, i cattolici italiani non hanno ancora proposto al Dalai Lama di diventare Papa!
Ora, delle incoerenze dei cattolici a me importa poco o niente. Tuttavia in rapporto al PD la questione si pone in modo simile: se l’organizzazione di cui fai parte non ti piace, nessuno ti trattiene e te ne puoi andare. Nel caso della Chiesa ci sono decine di congregazioni evangeliche, che sono cristiane almeno quanto quella Cattolica e forse di più. Gli episcopali e i metodisti consentono di fare le cose che il Papa romano proibisce: donne sacerdoti, vescovi gay, sacerdoti e sacerdotesse sposate, divorzi, pillola e rapporti prematrimoniali consentiti. In più le loro chiese prevedono metodi democratici per l’elezione di parroci e vescovi con la partecipazione dei fedeli. Tutte cose che la chiesa cattolica contrasta rigidamente. Chi non condivide queste regole dei cattolici romani è libero di uscire dalla Chiesa cattolica. Ma in Italia rimanere cattolici offre qualche vantaggio per così dire sociale e uno ci pensa bene prima di abbandonare la Chiesa. Da parte sua la Chiesa non rischia di perdere le sue pecorelle – perché di pecore si tratta e non certo di leoni – le quali pur di conservare alcune “comodità” rimangono in una comunità che accetta un notevole lassismo sui principi dichiarati. Oggi in Italia, se qualcuno per principio esce dalla Chiesa Cattolica, laico o prete che sia, si trova emarginato, talora anche boicottato. Quindi ci pensa due volte, la pecora, a uscire per aderire a una congregazione che in Italia non ha alcun potere.
Nel caso del PD si verifica una situazione simile. Niente va bene e si dissente su tutto e tra tutti. Molti potrebbero aderire all’UdC e contribuire a fare un bel partito di centro, magari alleandosi a Fini per un centro-centro-destra serio e giustamente conservatore, nuclearista, a favore della società tradizionale, cattolico – e quindi un poco farisaico con buona pace di Gesù Cristo – nel vero senso della parola, cioè che si può fare tutto quello che si vuole al di fuori degli insegnamenti della Chiesa purché si continui a farne ufficialmente parte e lo si sbandieri ai quattro venti. Purché si predichi l’insegnamento cattolico ma con il solenne impegno di non fare seguire i fatti alle parole. Altri potrebbero iscriversi al partito di Vendola il quale sostiene di essere gay e cattolico e grazie a questa contraddizione potrebbe trovare molti seguaci.

Corrado Poli

2 commenti:

  1. MMolti gli spunti di riflessione dal contributo di Corrado, molto pertinente e che condivido - a parte l'accostamento irriverente tra Fini ed il Dalai Lama :-)
    Aggiungerei solo una nota.
    Anche in finanza si parla di strategie exit e di strategie voice, con accezioni non contemplate probabilmente da Hirschman.
    Si tratta di quando i grandi investitori istituzionali (fondi, assicurazioni, pensioni eccetera), si trovano a dover fare i conti con i bassi rendimenti di investimenti azionari.
    Per esempio: un fondo pensioni di dirigenti pubblici californiani deve fare i conti con i bassi ritorni dell'investimento in azioni, che so, della Ford.
    Questi fondi spesso sono molto cospicui e per loro, di fatto, la strategia exit non è percorribile: in quel caso, infatti, se cominciassero ad uscire dall'investimento, le azioni crollerebbero e quindi si troverebbero ad essere loro stessi causa del proprio danno finanziario.
    Ne deriva che il gestore del fondo di cui sopra non potrà mettersi a vendere le azioni Ford che non rendono quanto richiesto invece dalle esigenze di remunerare i suoi investitori (i quali sì invece che possono praticare strategie exit).
    L'unica strategia percorribile dal fondo in questi casi allora è la "voice strategy".
    La voice strategy assume perciò significati diversi da quelli contemplati da Hirschman, non si tratta più di protestare, ma di avere appunto "voce in capitolo", cioè di prendere il controllo e imporre le proprie esigenze.
    In soldoni, farsi vivi presso i consigli di amministrazione, se non addirittura entrarci, e dettare programmi confacenti alle proprie esigenze: come un parassita che si impadronisce di un organismo e lo sfrutta.
    È quello che è accaduto all'economia globale, parassitata e controllata dalla finanza.
    Vediamo che questa è infatti la più importante delle cause dell'attuale crisi, dove accade che i grandi fondi finiscono per dettare (voice) le linee guida delle strategie industriali delle società nel cui capitale azionario sono entrate.
    È evidente che agli investitori non interessa il successo industriale di quelle aziende, ma semplicemente il rendimento in termini speculativi degli investimenti azionari.
    Questo meccanismo perverso è all’origine della la crisi di molte delle grandi aziende che, appunto, spesso sono andate non in crisi industriale o crisi economica, ma in crisi finanziaria (tradivano politiche industriali efficienti per perseguire la fata morgana di rendimenti azionari che soddisfacessero esigenze di altri player, quelli finanziari appunto).

    ... continua...

    RispondiElimina
  2. ... continua...


    Nel caso della politica e del Pd forse accade qualcosa di simile: la base del partito (elettori, selettori, gran parte dei militanti), vogliono il successo politico del partito, ma ci sono investitori (gli apparati) che non hanno davvero interesse nel successo politico del partito, sono interessati piuttosto ad un loro specifico “ritorno sull’investimento”, che non è necessariamente politico, ma, diciamo così, politicante.
    Beh, non accade certo perché costoro siano tutti "cattivi" o in cattiva fede, ma perché è nelle dinamiche stesse di formazione degli apparati e della loro perpetuazione, spesso prendendo le apparenze di finalità positive, tipicamente "il bene" o "l'unità" del partito, diciamo le ragioni della loyalty di cui parla Hirschman.
    Ahimè, la maggior parte dei politicanti o dei militanti infatti sono in buona fede, ma sappiamo che di buone intenzioni...
    Ecco che si crea il sistema che vediamo perfezionato con l'attuale legge elettorale: una "casta" di politicanti domina il paese ed è prevalentemente interessata solo a mantenere il proprio posto di potere - perfino a costo di sconfitte politiche, come accade al Pd.
    Gli attuali apparati del partito infatti (sopravvivenze dei vecchi partiti “genitori”), non sono in grado di mettersi in discussione, perché in tal caso dovrebbero accettare l’idea di essere appunto solo sopravvivenze e pertanto accettare di farsi da parte. Non è una questione semplicemente personale, non sono solo i singoli personaggi della politica che restano attaccati alle poltrone, sono proprio le macchine degli apparati (organizzazioni autoreferenziali), che si perpetuano anche attraverso le persone.
    E si sa che, come si dice, non sarà mai il tacchino ad invitarsi al pranzo di Natale!
    Ancora una volta vediamo al lavoro il grande tumore delle nostre democrazie, nel mondo intero direi: il conflitto di interessi.
    L'attuale legge elettorale è essa stessa il prodotto perverso di un conflitto di interessi!
    Dunque forse allora dobbiamo pensare che con Nuovopercorso stiamo agendo una strategia voice, con ruoli ribaltati: noi vogliamo il successo politico del Pd, contro gli apparati che vogliono solo un successo politicante, cioè un rendimento che premi il loro "investimento di potere".
    Questo conferma che, come accade nel caso dei gestori di grandi fondi di investimento, la strategia voice può diventare una strategia exit: infatti intervenire direttamente per trasformare l'ambiente dal quale si vuole uscire, equivale appunto a farlo.
    Chiaro che la trasformazione implica un cambio di paradigma, non la formazione di un nuovo apparato!
    Ci vogliono perciò idee chiare, risolutezza, intransigenza e coraggio di non venire a compromessi, cioè a non compromettere la strategia.
    Fattori che non abbondano, diciamo così, nella politica di casa nostra in generale e nel Pd in particolare.

    RispondiElimina