lunedì 17 gennaio 2011

Futuro e partito. Intervento all'assemblea provinciale tematica del PD di Padova.

Futuro e partito sono due delle parole che affrontiamo in questa nostra assemblea tematica. Due parole che ne richiamano direttamente altre due: giovani e politica. Due parole che sono strettamente legate da un comune denominatore come ha sottolineato anche il Presidente Giorgio Napolitano nel suo discorso di fine anno: la democrazia, il futuro del Paese sono strettamente legati a nuove forme di opportunità, di affermazione sociale per i giovani.

Questo ci spinge però a ragionare sul come poter creare queste opportunità e sulla responsabilità che ha la politica, il nostro partito in primis, nel contribuire a determinarle. E di certo tutto possiamo tranne essere percepiti come il partito del conservatorismo, cosa che sta accadendo troppo spesso ultimamente. Nati per fare le riforme di questo Paese, rischiamo di essere vissuti come i paladini del no.

Continuando a ragionare per coppie di parole credo che la nostra riflessione dovrebbe concentrarsi sulle seguenti: merito e competitività.

Che si ragioni di pubblica amministrazione o di aziende private non possiamo più permetterci di interpretare il presente senza tenere conto del merito come criterio di selezione di lavoratori e classi dirigenti, e della competitività come strumento di raggiungimento di efficacia ed efficienza in un mondo dove il mercato (anche nei servizi pubblici più essenziali come possono essere salute ed istruzione) è sempre più libero ed aggressivo.

La parola meritocrazia suona ormai come una parola logora e avara di significato, ma abbiamo la responsabilità di restituirne un ruolo centrale nella nostra interpretazione della realtà. Non possiamo accettare a capo chino che il nostro partito sia complice di salvifiche, indiscriminate e anacronistiche stabilizzazioni di lavoratori precari come quelle operate dalle giunte Vendola in Puglia e Lombardo in Sicilia. Non siamo né saremo credibili parlando di merito.

I due valori della meritocrazia: pari opportunità grazie al sistema educativo e libero mercato, sono spaventosamente carenti nella società e nell’economia italiane. Le pari opportunità per i giovani si fermano a Roma, quelle per le migliori donne italiane non esistono proprio (le donne italiane sono quelle che nel mondo sviluppato lavorano di meno e fanno meno figli, due tendenze che normalmente si escludono a vicenda). La concorrenza, il libero mercato, non sono concetti amati dalla nostra società ed economia. Ma nemmeno dai nostri imprenditori (penso al nostro Veneto) che, invece di far crescere la propria azienda valorizzando il talento non familiare, preferiscono tenere il controllo della governance e della leadership in famiglia.

Il ritardo con cui l’Italia vive la sua cultura meritocratica è causato dalla forza abnorme della famiglia italiana che genera quel “familismo amorale” che è studiato dai sociologi di tutto il mondo e giustificato dalla debolezza dello Stato che non è riuscito a creare fiducia nei cittadini. In più scontiamo un retaggio culturale attribuibile soprattutto alla nostra parte politica, cioè quella che la meritocrazia sia sinonimo di ineguaglianza.

In realtà l’assenza della cultura della meritocrazia ha portato il paradosso che l’Italia è diventata la società più ineguale del mondo occidentale. Il rapporto fra il reddito del 10% della popolazione più ricca e il 10% di quella più povera è fra i maggiori, senza però l’elevata mobilità sociale degli altri paesi che hanno un rapporto simile al nostro.

Ma merito e competività possiamo applicarle anche al nostro partito. Il tema del ricambio (o meglio del “rimango”) generazionale è stato recentemente affrontato in seguito all’iniziativa di Renzi e Civati a Firenze. Un tema che ritorna ciclicamente come se si trattasse di un fenomeno astronomico.

Il punto credo sia che la nuova generazione dovrà essere capace soprattutto di rappresentare, di organizzare il consenso, di affrontare i compiti che la riguardano, di condividere il senso delle sfide e di parlare con “parole sue” a qualcuno che finora non è mai stato rappresentato. In un colpo solo, se cosi facessimo, sparirebbe questa sensazione di dibattito tipo scapoli e ammogliati che ci accompagna. Ci renderemmo conto che il problema non è quello dei giovani dirigenti, ma quello dei giovani elettori. E sapremmo che non si tratta affatto di un dibattito interno, ma del dibattito più esterno che si possa immaginare.

Ci vuole sì un partito dei giovani, che sappia però immediatamente rovesciare il dato anagrafico in una proposta di senso politico, che sappia coinvolgere i “nativi” del Pd ma anche e soprattutto i cittadini che hanno meno di trent’anni, che non hanno visto altro che Berlusconi e che non sono preoccupati di quello che ha fatto e fa la generazione precedente ma di quello che può fare la propria.

Pierluigi Giaccarello
Noventa Padovana, Sabato 15 gennaio 2010

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